Pappagalli verdi - Recensione

Buonasera lettori. Lo so che l'orario non è proprio dei migliori ma sono stata tutti il giorno fuori casa e mi aveva abbandonato pure il telefono. Il libro di cui vi parlo oggi è Pappagalli verdi di Gino Strada, che è formato da una serie di racconti della sua vita come chirurgo di guerra.

Titolo: Pappagalli verdi. 
Cronache di un chirurgo di guerra
Autore: Gino Strada
Editore: Feltrinelli
Prezzo: cartaceo  7.22
        eBook € 4.99
Pagine: 160


TRAMA
Gino Strada arriva quando tutti scappano, e mette in piedi ospedali di fortuna, spesso senza l'attrezzatura e le medicine necessarie, quando la guerra esplode nella sua lucida follia. Guerre che per lo più hanno un lungo strascico di sangue dopo la fine ufficiale dei conflitti: quando pastori, bambini e donne vengono dilaniati dalle tante mine antiuomo disseminate per le rotte della transumanza, o quando raccolgono strani oggetti lanciati dagli elicotteri sui loro villaggi. I vecchi afgani li chiamano pappagalli verdi. Questo libro ci consegna le immagini più vivide, i ricordi più strazianti, le amarezze continue dell'esperienza di medico sugli scenari di guerra del nostro tempo.



RECENSIONE

"Sembra quasi che una maledizione accompagni i curdi. Ogni volta che il lento genocidio sembra placarsi, ogni volta che si intravede uno spiraglio di pace e di vita possibile, succede qualcosa che li ricaccia indietro nel loro ghetto, che uccide la speranza."

Questo libro è molto diverso da quelli di cui ho parlato fino ad ora e, se devo essere sincera, l'ho letto per caso. Un paio di mesi fa viaggiavo spesso con l'autobus per studio e quindi avevo bisogno di un libro piccino, facile da portare e magari con una narrazione non continua. Quando ho notato questo piccolo volume nella libreria (l'ha comprato mia sorella) e l'ho sfogliato, ho visto che era formato da tanti raccontini, e quindi ho pensato che fosse perfetto. Solo dopo averlo iniziato mi sono accorta di quanto fosse potente, questo minuscolo libriccino. Ci ho messo tanto a leggerlo, forse troppo per quelle poche pagine (solo 156 in fondo), ma sono contenta di aver rispettato i miei tempi e di non aver affrettato la lettura perché è un libro che va digerito, morso dopo morso, pagina dopo pagina. In una pagina introduttiva lo scrittore dice di non essere capace di scrivere un libro, ed è per questo che si limita a raccontare di avvenimenti che ha visto mentre svolgeva il suo mestiere: chirurgo di guerra. È per questo che il libro è formato da piccoli racconti, non più di tre-quattro pagine ciascuno, in cui però c'è tanto, forse troppo.
Il titolo, "Pappagalli verdi", è il nome con cui gli afgani chiamano le mine giocattolo, piccoli oggettini, giusto 10 centimetri, che hanno la forma quasi di uccelli e che sono create proprio per colpire i bambini. I bambini, sì. Perché in questo libro Gino Strada non racconta le guerre, quelle fatte da soldati, o non solo. Quello su cui si concentra è la vita di questi stati, Iran, Iraq, Pakistan, e la vita dei popoli, che sono costretti a convivere con la realtà della guerra sin dalla nascita.

"Ashad ha undici anni. Quando ne aveva otto, una delle tante mine antiuomo sparse vicino al confine gli ha portato via la gamba destra, fino alla coscia. Stava riportando a casa due mucche, la mina era lì in mezzo all’erba, a pochi metri da una mulattiera che usano i contrabbandieri per passare il confine. L’ha vista all’ultimo secondo, troppo tardi per evitare di calpestarla. Ashad ora viene da noi, perché è cresciuto, le sue stampelle sono diventate corte ed è costretto a camminare curvo. Ha lo sguardo intelligente e occhi profondi, sembra molto più adulto dei suoi anni.
Gli facciamo segno di seguirci al deposito dove teniamo le stampelle. E allora lui si volta, torna indietro verso il padre, che gli posa una mano sulla spalla e lo segue, col suo bastone di legno. Solo allora ci rendiamo conto che Omar Mustafa è cieco.
Anche lui, anni prima, come il piccolo Ashad, ha trovato la “sua” mina. Alcuni frammenti metallici lo hanno colpito al volto e agli occhi, e da undici anni non può vedere i suoi figli crescere."
Sono tanti i bambini di cui ci racconta, alcuni si sono salvati, altri non ce l'hanno fatta, ma quello su cui pone l'accento è come questi bambini non sembrino sorpresi di aver perso un braccio o una gamba, o la vista. Sono già rassegnati a quello che per loro è la normalità. Nei villaggi, nei paesi, è quasi normale essere bombardati e non tornare più a casa, anche se eri fuori solo per giocare a palla. Quello che però mi ha sorpreso di più è il fatto che questo libro non è solo il racconto della violenza che subiscono questi popoli, no. È anche un libro che dà speranza. Sembrerà strano a causa della trama, ma ci sono state delle pagine che mi hanno riempito di speranza. Speranza che questi popoli possano tornare un giorno a vivere, e non continuare a sopravvivere. Speranza che tutti questi bambini, ma in generale tutti i civili, pur se feriti, possano avere amici, una famiglia, la felicità. Poi però ci sono anche alcuni racconti che ti distruggono, che ti lasciano completamente senza alcun dubbio sull'atrocità dell'uomo. Per questo l'ho letto così lentamente. Perché ero sempre indecisa se rischiare la sorte, con il dubbio che il racconto successivo mi avrebbe annientato. Un altro elemento che rende questo libro così bello e intenso è il fatto che oltre a parlare dei propri pazienti o dei colleghi con cui ha vissuto tutte le varie esperienze, Gino Strada dà un esempio anche di cosa prova un medico o un infermiere che parte per le missioni umanitarie. Se infatti da una parte la loro vita è piena di soddisfazione, come quella di un qualsiasi medico che riesce a salvare un paziente, e di adrenalina e avventura, perché comunque gli ospedali da campo sono sempre vicino a zone pericolose, quello che sottolinea lo scrittore è il fatto che per salvare le vite di sconosciuti ha abbandonato quasi del tutto la propria famiglia. Si è perso eventi importanti della crescita di sua figlia e non ha vissuto la quotidianità  con sua moglie. Questo aiuta a capire quanto coraggio ci voglia per abbandonare tutto e partire, ma mi è piaciuto molto il fatto che Strada non si censuri, non si dipinga un uomo perfetto e migliore di quanto crede di essere, non provi a nascondere gli incubi che a volte lo hanno assalito e si chieda se la sua decisione sia stata giusta o se forse avrebbe dovuto accontentarsi di fare il medico in un qualsiasi ospedale vicino casa.
È un libro che vi consiglio, soprattutto per il periodo in cui ci troviamo a vivere. Conoscere il mondo che si trova al di fuori del nostro paese e della nostra quotidianità è l'unico modo per poter comprendere la realtà che ci circonda. E il modo in cui ce lo mostra Gino Strada è davvero unico. Metteteci un anno, se siete sensibili, ma leggetelo, perché vi aiuterà a guardare il mondo con occhi diversi.
"Storie di vita e di morte quotidiana. Avrei voluto continuare a tenerlo, questo strano diario. Ma non ce l'ho fatta, perché la scrittura si inaridisce, perché ogni storia assomiglia alla precedente perché è facile capire cosa ci sarà da scrivere domani, perché le frasi diventano appunti, sigle, termini tecnici."






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